Pignoramento prima casa: è possibile?

Eventuali limiti al pignoramento della prima casa. La sospensione al tempo del Covid – 19

La sacralità della tua abitazione, acquistata dopo anni di sacrifici oppure ancora da pagare, visto il mutuo trentennale tuttora in corso, ti porterebbe a pensare che sia inviolabile. Ovviamente non mi sto riferendo ad un attacco dei tuoi nemici, stile medioevale, ma alla possibilità che i tuoi creditori possano pignorarla. A questo proposito, saresti convinto che debba esserci, per forza, qualche legge che la protegga dalle grinfie dei tuoi creditori: è così oppure ti sbagli?

Potresti pensare che la tua ex moglie non possa certo pignorarla per il mancato versamento dell’assegno divorzile concordato oppure sei convinto che la finanziaria, dalla quale hai avuto un prestito mai restituito, non possa aggredirla perché è l’unico bene che possiedi. Nel contempo, saresti sicuro che lo Stato, per tutte quelle cartelle esattoriali in sospeso, non abbia la possibilità di procedere esecutivamente nei confronti del tuo immobile. Ad ogni modo, il dubbio ti resta e, pertanto, ti chiedi: il pignoramento della prima casa è possibile?

In questo mio piccolo contributo scritto, lo scopo è quello di chiarirti le idee su questo argomento. Esse sono spesso ingarbugliate dalla miriade di disposizioni normative emanate in tante materie e frequentemente in grado di confondere anche gli addetti ai lavori. Quindi, vediamo insieme se la banca, l’ex moglie o il fisco possono pignorare o meno la tua prima casa. Procediamo?

L’ex moglie può pignorare la prima casa del coniuge?

Dopo un sofferto matrimonio, culminato con la separazione e definito con il successivo divorzio, hai concordato con la tua ex un assegno divorzile in un’unica soluzione. Purtroppo, però non hai provveduto al pagamento della somma pattuita e, per questa ragione, temi che il coniuge possa avanzare pretese, di natura esecutiva, nei tuoi riguardi. In particolare, sei preoccupato che possa pignorare la tua casa, cioè quell’unico immobile, avuto in eredità dai tuoi genitori, nel quale sei andato a vivere dopo il divorzio. Insomma, ti chiedi: l’ex può pignorare la prima casa del coniuge?

La risposta alla predetta domanda è, purtroppo, positiva. La tua ex moglie può infatti pignorare il tuo immobile, anche se si tratta della cosiddetta prima casa, per qualsiasi credito dovesse avere nei tuoi riguardi (in ciò, il caso sopra riportato è solo un esempio). Pertanto, mi dispiace dirtelo, ma non puoi dormire sogni tranquilli se sei debitore del tuo ex coniuge.

La banca può pignorare la prima casa del debitore?

Come debitore di una banca, si possono distinguere due ipotesi: quella in cui l’istituto ti ha concesso il mutuo, che purtroppo non riesci a rendere regolarmente, e il caso in cui la banca ti ha concesso un prestito personale che non hai restituito, in parte o tutto.

Ebbene, in entrambi i casi citati, il creditore ha la facoltà di pignorare il tuo immobile e non c’è alcuna limitazione che possa incontrare, solo perché si tratta della tua abitazione principale. Pertanto, anche per questa evenienza, non sei protetto dal fatto che si tratta dell’unico bene a tua disposizione; la banca o la finanziaria di turno avranno, infatti, la possibilità di pignorare la tua prima casa.

Il fisco può pignorare la prima casa del debitore?

A questo punto, potrai pensare che io sia un menagramo; in fondo, ti sto dando tutte brutte notizie e sto cancellando ogni tua certezza che, invece, avevi sull’inviolabilità della tua abitazione. Eppure, a proposito del fisco e, in particolare, delle iniziative che, per esso, può assumere l’Agente della Riscossione, devi stare più tranquillo.

Per i debiti in questione, infatti, compresi quelli dovuti a seguito delle tante cartelle esattoriali che ti affliggono, non è consentito il pignoramento della prima casa. È la legge [1] a sancire questa regola precisando che, tale limite, opera soltanto alle seguenti condizioni:

  • si deve trattare dell’abitazione civile e accatastata come tale, in cui il cittadino/debitore ha stabilito la sua residenza;
  • non deve essere un immobile di lusso. Per intenderci, una villa classificata catastalmente con la categoria A/8 o, addirittura, un edificio di particolare pregio storico, cioè come quello rientrante nella tipologia A/9, possono essere pignorati;
  • deve essere l’unico immobile di proprietà del contribuente.

Pertanto, il limite scompare se sei proprietario di più immobili. Per evitare che il fisco possa agire indiscriminatamente, dovresti rimanere con un’unica abitazione ed eleggere residenza in quella.

Non dimenticare, inoltre, che in tutti i casi, l’Agenzia delle Entrate Riscossione può pignorare un immobile:

  • soltanto se il debito del cittadino supera l’ammontare di 120.000 euro;
  • se il valore dei beni immobili del debitore sia superiore a 120.000 euro;

Pertanto, se non ricorrono le predette condizioni, può dormire sogni tranquilli.

Pignoramento prima casa e Covid-19

Un piccolo cenno all’attuale situazione normativa, dovuta ai provvedimenti emanati dal governo per fronteggiare l’attuale emergenza sanitaria, è doveroso. Ebbene, è stata stabilita la sospensione dei pignoramenti della prima casa sino al 31 ottobre 2020, cioè per sei mesi successivi all’entrata in vigore della legge [2] che ha convertito il decreto emanato, anche a tale scopo, nel mese di marzo [3].

Pertanto, tutti coloro che hanno in corso un pignoramento della prima casa potranno avere un periodo di relativa calma per questa ragione.

NOTE

[1] Art. 76 co. 1 lett. a) Dpr 602/1973

[2] L. 27/2020 entrata in vigore il 30.04.2020

[3] Art. 54 ter Dl 18/2020

Come dividere un conto cointestato?

Cointestare un conto è semplice e utile: ma cosa accade quando bisogna dividerne il saldo?

Tra gli strumenti che utilizziamo per la gestione e l’amministrazione del nostro denaro c’è sicuramente il conto corrente bancario. Su questo depositiamo le somme di nostra pertinenza (ad esempio, il proprio stipendio oppure i proventi della propria attività) che possiamo conservare con serenità e gestire facilmente; insomma, una vera e propria comodità che, spesso, si caratterizza per la cosiddetta cointestazione. In tal caso, i contraenti sono due: magari madre e figlio, la prima di una certa età e poco pratica, il secondo più giovane e molto più attivo e sveglio. Mediante il conto corrente cointestato, la gestione sarà molto più semplice, essendo realizzabile da entrambe i cointestatari. Ma se la madre dovesse morire, cosa accadrebbe? Nel caso descritto, come si deve dividere un conto cointestato?

La domanda non è banale, poiché in tale circostanza possono esserci altri eredi della defunta interessati alla successione delle somme presenti sul conto e non è raro che, in un caso come questo, i dissidi e le incomprensioni siano assai frequenti. Da un lato c’è il cointestatario che non vorrebbe dividere l’intero saldo, ma, eventualmente, soltanto la metà; dall’altro ci sarebbero, ad esempio, gli altri figli che, invece, sostengono che la madre era la titolare effettiva di tutti i fondi presenti in banca. Insomma, tutti presupposti sufficienti e necessari a far sorgere una vertenza da portare in Tribunale. Per evitare che ciò accada oppure per dare risposta a te che lo chiedi, diventa essenziale rispondere alla domanda da cui nasce questo articolo.

Conto cointestato: cosa vuol dire?

In questa particolare ipotesi di conto corrente bancario, i titolari del medesimo sono più di uno. Essi, di regola, avranno la possibilità di operare senza il consenso esplicito dell’altro (cosiddetta firma disgiunta): ad esempio, Tizio potrà effettuare un bonifico senza l’autorizzazione scritta di Caia. Non mancano, però, i casi in cui la gestione avviene in comune (cosiddetta firma congiunta): ad esempio, Sempronio non può chiedere alla banca l’emissione di un assegno circolare senza il consenso di Mevia.

In tutti i casi descritti, il vantaggio principale è relativo ai costi: invece di affrontare quelli necessari all’apertura di un doppio conto, sarà sufficiente coprire soltanto quelli dell’unico in essere. A questo beneficio, nel caso di conto corrente cointestato a firma disgiunta, si aggiungerebbe quello dell’operatività, evidentemente realizzabile, in piena autonomia, da tutti gli intestatari.

Ricordati, infine, che non è necessario che i titolari abbiano un rapporto di parentela, più o meno stretto, per aprire un conto corrente cointestato: è esclusivamente sufficiente la volontà delle parti, anche se giuridicamente estranee tra di loro (ad esempio, due amici).

Conto cointestato: di chi sono i soldi?

Per rispondere alla presente domanda basta rifarsi alla legge: secondo quest’ultima [1], nel caso di conto corrente cointestato, allorché sia prevista l’operatività separata, i contitolari sono considerati, solidalmente, creditori o debitori di tutte le somme in esso presenti. Inoltre, la legge prosegue precisando che, nei rapporti interni tra i vari creditori di un’obbligazione in solido, le parti di essa si presumono eguali [2]. In termini più semplici, ciò significa che, nel caso di conto corrente cointestato, le somme in esso presenti si presumono di proprietà dei vari contitolari, ma in parti uguali. Si tratta di una conclusione che trova pacifico riscontro nella giurisprudenza della Suprema Corte di Cassazione [3].

Se questa è la risposta alla domanda iniziale (conto cointestato: di chi sono i soldi?), resta da chiarire un dubbio non di poco rilievo: è ammessa la prova contraria? In altre parole, è possibile dimostrare che i fondi del conto appartengono esclusivamente all’uno e non anche all’altro contitolare?

Conto cointestato: la divisione

Nell’ipotesi avanzata inizialmente, abbiamo visto che la madre, contitolare assieme al figlio del conto in banca, è purtroppo deceduta. Abbiamo, inoltre, ipotizzato che ci fossero degli altri eredi e che gli stessi avessero avanzato pretese sull’intera giacenza presente sul conto. Il figlio, invece, partendo dalla presunzione di comproprietà dei soldi in banca, vorrebbe dividere coi fratelli soltanto la metà del saldo. In un caso come questo, è consentito agli altri eredi dimostrare il contrario?

La risposta è positiva: lo afferma la stessa giurisprudenza già richiamata in precedenza (vedi nota [3]), secondo la quale alla presunzione di contitolarità delle somme presenti sul conto è possibile dare dimostrazione contraria; tuttavia, la parte che dovesse avanzare pretese, in contrasto col principio iniziale, avrebbe l’onere di provare il proprio diritto; potrebbe farlo anche attraverso presunzioni, il cui effetto sarebbe quello di attestare una situazione diversa da quella risultante dalla cointestazione.

Per fare un esempio di quanto è stato appena affermato è sufficiente riferirsi ad una recente sentenza della Cassazione [4]. Secondo quest’ultima, la mancanza di un reddito adeguato di uno dei contitolari, magari anche di giovane età, potrebbe dimostrare l’impossibilità, per questi, di essere proprietario, anche in parte, delle somme presenti sul conto della madre cointestataria; oppure si potrebbe arrivare ad identica conclusione provando che la cointestazione era stata prevista al solo scopo di facilitare la gestione dei rapporti tra le parti.

Pertanto, in presenza di un conto cointestato, aperto tra madre e figlio oppure tra marito e moglie in separazione dei beni ovvero tra due amici, è sempre consentito dare dimostrazione contraria alla presunzione di comproprietà delle somme in esso presenti. È, quindi, possibile che, alla chiusura del rapporto, avvenuta alla morte di un contitolare oppure alla separazione tra le parti, si abbia diritto alla divisione del saldo in maniera del tutto diversa dall’eventuale 50% a testa.

NOTE

[1] Art. 1845 cod. civ.

[2] Art. 1298 cod. civ.

[3] Cass. civ. sent. n. 28839/2008 – 4496/2010 – 18777/2015

[4] Cass. civ. ord. n. 11375 del 29.04.2019