Abuso del ricorso alla giustizia e condanna d’ufficio al pagamento di una somma

In un processo, la totale infondatezza e gli errori macroscopici nell’interpretazione delle norme possono costare molto caro.

Chi è titolare di un diritto ed è vittima di un comportamento illecito ha la facoltà di rivolgersi alla giustizia per risolvere il problema. È così, perciò, che si cita in giudizio il danneggiante per ottenere un risarcimento impossibile da ricevere in via amichevole e concordata. Oppure è per questo motivo che s’impugna un’assemblea condominiale, espressasi in violazione della legge e dei propri legittimi interessi.

Ebbene, al di là degli esempi indicati, non mancano i casi in cui il ricorso all’ufficio giudiziario di turno è del tutto immotivato ed infondato. Un cittadino potrebbe, infatti, decidere di fare causa a qualcuno o di resistere ad un provvedimento emesso a proprio carico soltanto per perdere tempo, per ostacolare l’iniziativa di controparte o, semplicemente, per coltivare un contenzioso a tutti i costi.

A quanto pare, è proprio ciò che è accaduto nella lite risoltasi con la sentenza n. 12654 emessa dal Tribunale di Roma il 26 agosto 2022. In tale occasione l’ufficio laziale ha individuato un’ipotesi di abuso del ricorso alla giustizia, precisando presupposti ed effetti di questa fattispecie.

Non mi resta che illustrare il caso concreto.

Abuso del ricorso alla giustizia e condanna d’ufficio al pagamento di una somma. Il caso concreto.

In un fabbricato romano, con un’assemblea condominiale, tenutasi nel febbraio del 2020, il consesso aveva deciso di perseverare in un’azione legale verso un condòmino. Essa era stata intrapresa allo scopo di rivendicare e recuperare alcune parti comuni, indebitamente, occupate dal proprietario de quo. Quest’ultimo, evidentemente, contrariato dalla causa in corso, decideva d’impugnare il deliberato per vari motivi.

Il condominio, costituitosi regolarmente, evidenziava che nelle more del procedimento e, cioè, nel dicembre del 2020, l’assemblea si era, nuovamente, espressa sugli stessi argomenti di quella impugnata e con identica votazione. Con ciò aveva determinato una vera e propria sostituzione dell’oggetto del ricorso. Chiedeva, quindi, che fosse dichiarata la conseguente cessata materia del contendere, ex art. 2377 cod. civ.

Il Tribunale di Roma, valutati gli atti, ha accolto l’eccezione del convenuto, procedendo, quindi alla regolazione delle spese processuali, secondo il principio della soccombenza virtuale. Era, infatti, compito del giudice valutare le probabilità di accoglimento dell’impugnazione per stabilire a chi dovessero essere attribuite queste spese.

A tale riguardo, l’ufficio capitolino ha individuato una tipica ipotesi di abuso del ricorso alla giustizia. L’azione, infatti, era del tutto infondata, pretestuosa e viziata da errori macroscopici. Per questa ragione ha condannato l’attore al pagamento di una somma, equitativamente, determinata in € 1.500,00 a favore del convenuto, ex art. 96 co. 3 cod. proc. civ.

Responsabilità aggravata del soccombente: cosa dice la legge?

Il codice di procedura civile, con l’art. 96 cod. proc. civ., regola i casi in cui chi è soccombente in un processo è condannato non solo al pagamento delle spese di giudizio, ma anche al versamento di una somma a favore della controparte.

Si tratta, sostanzialmente, delle ipotesi in cui si prende parte ad un processo con mala fede e colpa grave, magari pienamente consapevoli dell’infondatezza della propria posizione e al solo scopo, ad esempio, di rimandare nel tempo gli effetti di un provvedimento che sarebbe pregiudizievole per i propri interessi.

Per la legge italiana ciò non è ammissibile, poiché si offende, in primis, la funzione giurisdizionale <<Un simile comportamento è abusivo e merita di essere adeguatamente sanzionato con il pagamento di una somma equitativamente individuata per l’offesa arrecata anche alla giurisdizione(così Corte Cost., 23.06.2016, n. 152)>>.

La norma de quo, inoltre, ha anche lo scopo di scoraggiare comportamenti che creano intralcio a un sistema giudiziario già di per sé congestionato <<Il danno in questione è chiaramente finalizzato a scoraggiare il fenomeno diffuso dell’abuso del diritto e del ricorso alla giustizia per questioni meramente strumentali e dilatorie in dispregio della funzionalità del sistema giustizia che, come noto, soffre di un inflazionato contenzioso anche ingiustificato (cfr. Cass. n. 17902/2010)>>.

Condanna d’ufficio al pagamento di una somma: è necessaria la prova di un danno?

Come si può notare leggendo il terzo e ultimo comma dell’art. 96 cod. proc. civ., è previsto che il soccombente sia condannato al pagamento di una somma a favore della controparte, in aggiunta alle spese processuali, su iniziativa del giudice e a prescindere da una richiesta del soggetto interessato <<In ogni caso, quando pronuncia sulle spese ai sensi dell’articolo 91, il giudice, anche d’ufficio, può altresì condannare la parte soccombente al pagamento, a favore della controparte, di una somma equitativamente determinata>>.

Per il Tribunale di Roma in commento, si tratta di un’ipotesi particolare poiché la negligenza con la quale il soccombente ha instaurato un giudizio o ha resistito in esso, può condurre alla condanna de quo, indipendentemente dalla prova di un danno <<diversamente da quanto si verifica per l’ipotesi di lite temeraria, non è indispensabile, ai fini dell’applicazione dell’art. 96, comma 3, la necessità ovvero la prova di un danno patito dalla controparte vittoriosa in causa, potendo provvedere il Giudice, anche d’ufficio, e anche senza specifica richiesta della parte risultata vittoriosa, alla condanna della parte soccombente al pagamento di una somma equitativamente determinata>>.

Proprio ciò che è avvenuto nella lite in commento, dove il magistrato ha, facilmente, concluso per la totale infondatezza dell’impugnazione proposta dal condòmino al verbale di assemblea, in ragione, altresì degli <<errori macroscopici nell’interpretazione di norme sostanziali e/o processuali ed in spregio al consolidato orientamento giurisprudenziale su alcune questioni pacificamente chiarite dalla stessa Corte di legittimità>>.

Ecco, perciò, spiegata la decisione di condannare il soccombente al pagamento di una somma a favore della controparte, oltre al versamento delle spese processuali.

Tribunale e Giudice di pace: prima udienza

Come si avvia un procedimento civile ordinario in Tribunale e cosa può accadere in prima udienza

Almeno in linea generale, quasi tutti hanno un’idea di cosa sia una causa civile. Si sa, ad esempio, che per avviare un’azione legale è necessario rivolgersi ad un avvocato; è abbastanza noto, altresì, che bisogna presentarsi dinanzi ad un magistrato e che il contenzioso durerà per un certo tempo. È meno chiaro, invece, in cosa consiste un procedimento civile ordinario in Tribunale e in quali fasi esso si realizza. Devi sapere, pertanto, che c’è quella introduttiva, dove la causa si avvia; essa è seguita dalla fase istruttoria, dove sono raccolte, ad esempio, le prove testimoniali; per poi arrivare alla conclusiva che culminerà nella sentenza. Comunque, in ogni causa, c’è un momento inevitabile: la prima udienza di comparizione, a proposito della quale è importante chiedersi: in Tribunale e dal Giudice di pace cosa accade nella prima udienza?

Ti stai ponendo questa domanda poiché ti sei rivolto a un avvocato per avviare un contenzioso verso il tuo vicino di casa. Sebbene i rapporti col professionista siano buoni, non sei riuscito a capire, però, quando inizierà, effettivamente, la causa e cosa accadrà in primo luogo. Ad esempio, anche solo per semplice informazione, vorresti comprendere meglio quali facoltà è possibile esercitare in occasione della prima udienza del tuo procedimento. Pertanto, ti chiedi: quando e come inizia un procedimento civile ordinario? Cosa accade nella prima udienza e cosa è possibile chiedere in quell’occasione? Troverai le risposte continuando a leggere quest’articolo.

Procedimento civile: quando inizia?

Un processo civile ordinario, quale ad esempio quello per chiedere un risarcimento del danno oppure per opporti a un decreto ingiuntivo, si introduce con la notifica di un atto di citazione. Si tratta di un documento che prepara il tuo legale, all’interno del quale egli illustra le ragioni della tua domanda, i motivi per cui la stessa debba essere accolta e che invia alla controparte.

Nell’atto di citazione, inoltre, è specificata la data di comparizione. In altri termini, il tuo avvocato sceglie il giorno in cui dovrà essere svolta la prima udienza dinanzi all’ufficio giudiziario indicato secondo competenza. Si tratta, però di una data che potrebbe essere spostata. Infatti, la cancelleria del Tribunale o del Giudice di pace, tenuto conto del carico di lavoro, nell’assegnare la tua causa al giudice designato, potrebbe fissare la prima udienza di comparizione anche dopo mesi (in genere ciò accade per i procedimenti dinanzi al Giudice di pace, essendo degli uffici, particolarmente, congestionati). Pertanto, sarà questo il momento in cui si svolgerà la prima udienza.

Procedimento civile: devo essere presente in prima udienza?

Nella prima udienza di un procedimento civile dinanzi al Tribunale, la presenza delle parti non è prevista e tanto meno è necessaria, a differenza delle cause dinanzi al Giudice di pace, dove invece è contemplata, ma quasi sempre disattesa. Qualcuno potrebbe pensare che possa essere un’occasione per far incontrare i soggetti in causa e per favorirne la conciliazione. In genere, però, l’ipotesi di una transazione viene vagliata in precedenza e, comunque, la prima udienza non è, certamente, l’unico momento in cui è possibile trovare una risoluzione amichevole alla vicenda. Gli avvocati, infine, sono restii a farsi accompagnare dal proprio cliente, per non essere in nessun modo deconcentrati nell’espletamento dell’attività da compiere.

Procedimento civile: cosa accade nella prima udienza?

Secondo quanto è stabilito dalla legge [1], nel corso della prima udienza il giudice verifica, innanzitutto, la regolarità del contraddittorio, cioè se tutte le parti coinvolte nella causa sono state correttamente chiamate in giudizio. Non è detto, infatti, che la tua controparte si presenti (ad esempio, nelle azioni risarcitorie dei veicoli, generalmente, compare solo l’assicurazione); tuttavia è essenziale che sia stata chiamata regolarmente e che, quindi, abbia scelto di essere assente (cosiddetta contumacia).

In secondo luogo, viene verificato se sia necessario chiamare in giudizio un altro soggetto, ove mai l’attore, cioè colui che ha introdotto la causa, lo ritenesse necessario alla luce delle difese svolte dalla controparte. Si pensi al caso in cui il tuo vicino chieda, a sua volta, un risarcimento nei tuoi confronti; si tratterebbe di un’ipotesi dove il tuo avvocato avrebbe la possibilità di far intervenire nel procedimento la compagnia che assicura la tua casa.

Infine, nei procedimenti dinanzi al Giudice di pace, gli avvocati delle parti formulano le proprie richieste istruttorie, ad esempio indicando i testimoni e precisando le circostanze per le quali sono chiamati a rispondere. Viceversa, nelle cause davanti al Tribunale, a chiusura della prima udienza, i legali chiedono che siano concessi dei termini per meglio precisare le proprie istanze e gli elementi probatori a supporto delle proprie difese. Cerchiamo di capire insieme di cosa si tratta.

Procedimento civile: a cosa servono i termini nella prima udienza?

Devi sapere che il procedimento civile è, sostanzialmente, documentale, tant’è che prima che venisse introdotto il cosiddetto processo telematico, i fascicoli delle cause erano, solitamente, molto voluminosi. In ragione di questa caratteristica, la richiesta dei termini che avviene in prima udienza, assolve allo scopo di depositare, all’attenzione del giudice, alcuni atti che torneranno utili per chiarire la vicenda, per meglio spiegare le proprie ragioni e per precisare i mezzi probatori a supporto delle proprie istanze. In particolare, a chiusura della prima udienza e su richiesta degli avvocati, vengono concessi:

  • un termine perentorio di 30 giorni per depositare un atto, denominato memoria. All’interno di esso l’avvocato potrà, sostanzialmente, integrare le proprie difese. Ad esempio, potrà approfondire la questione di diritto oggetto della controversia, alla luce dei precedenti giurisprudenziali citati dalla controparte;
  • un secondo termine, anch’esso tassativo, di ulteriori trenta giorni, per produrre un’altra memoria scritta. In questa il tuo legale potrà replicare a quanto è stato illustrato dalla controparte, indicare eventuali testimoni da ascoltare e/o depositare documenti a sostegno della tua posizione;
  • un ultimo termine di venti giorni, sempre inderogabile, per specificare una prova contraria a quella richiesta dalla controparte, ad esempio, indicando un testimone per contrastare quanto vorrebbe dimostrare l’avversario con i proprio nominativi.

Trascorso il periodo delimitato dai predetti termini, il giudice fisserà la seconda udienza. In essa, per ipotesi, saranno ascoltati i testimoni indicati. Qualora non fosse necessaria alcuna attività istruttoria, in quell’occasione, le parti saranno, invece, invitate a precisare le proprie conclusioni in prospettiva della sentenza.

Se mi chiamano come testimone, posso non andarci?

Quali sono i doveri del testimone nel processo civile. È obbligatorio presentarsi e dire la verità.

 

La prova testimoniale è assai diffusa nella pratica per arrivare a dimostrare le proprie ragioni nell’ambito di una causa. In buona sostanza, il testimone è una persona che ha assistito a determinati accadimenti (ad esempio, il tradimento del marito, il sinistro automobilistico, ecc) e pertanto il suo compito diventa determinante per il buon esito della lite giudiziaria.

Ma senza il consenso del testimone, egli può essere citato come tale in un processo civile?

 

Per fare il testimone devo dare il mio consenso?

Assolutamente no. Se una parte in causa decide che le vostre dichiarazioni o i vostri ricordi potrebbero essere decisivi per risolvere favorevolmente il contenzioso, può tranquillamente citarvi come testimone, senza il vostro assenso.

Tale compito sarà di fatto eseguito dall’avvocato il quale, secondo le indicazioni del proprio cliente, citerà il testimone, precisandone le generalità (nome, cognome, residenza, ecc) e le domande (tecnicamente definite articoli di prova) a cui dovrete rispondere.

Posso non presentarmi?

Assolutamente no. Testimoniare è un dovere, fermo restando che una volta comparsi in Tribunale o dal Giudice di pace potrete anche non ricordare o non sapere nulla dei fatti oggetto della causa.

Sarete chiamati a comparire in un’udienza, appositamente fissata dal giudice per ascoltarvi, e sarete informati di tutto ciò, attraverso un atto denominato “intimazione a testimoniare”, inviatovi dal legale che via ha indicato quale testimone.

In quest’atto troverete tutti gli estremi della causa (nome delle parti, ufficio giudiziario dove comparire, giorno ed ora dell’udienza, ecc), ad eccezione delle domande su cui dovrete rispondere.

Se nonostante ciò, non comparirete, il giudice, su richiesta delle parti in causa ed in particolare di quella che vi ha indicato quale testimone, rinvierà il processo ad un’udienza successiva, per consentire la vostra presenza.

Ricordatevi che il giudice, dopo la ripetuta assenza del testimone regolarmente citato potrà disporre l’accompagnamento coattivo del medesimo (ad esempio, tramite i carabinieri) per l’udienza successiva, stabilendo anche una sanzione pecuniaria a carico dello stesso [1].

In buona sostanza, dovrete rassegnarvi ed andare a testimoniare.

È obbligatorio rispondere alle domande?

Quando sarete nell’aula di udienza, a un certo punto sarete chiamati per essere identificati e per impegnarvi a dire la verità e a non nascondere nulla di quanto è a vostra conoscenza.

Fatto ciò sarete, di volta in volta, sottoposti alle varie domande oggetto della testimonianza, alle quali sarete semplicemente obbligati a rispondere secondo verità. Se non ricorderete nulla di quanto vi sarà chiesto, risponderete non ricordo. Se non sarete a conoscenza delle vicende in questione, risponderete non so. Insomma sarete obbligati a dire semplicemente la verità: in mancanza potreste essere accusati del reato di falsa testimonianza [2].

Al termine,  vi sarà riletto quanto da voi dichiarato. Dopo aver confermato e sottoscritto il verbale della deposizione, con il permesso del giudice, potrete tornarvene a casa.

NOTE

[1] Art 255 cod. civ.

[2] Art. 372 cod. pen.